L’ischitano alle Isole Tremiti, tramandato dai Borbone che popolarono San Nicola
Non deve stupire lo scoprire che il dialetto parlato dagli abitanti delle Tremiti, è napoletano, anzi ischitano, poiché essi, per la per la più gran parte sono i discendenti dei napoletani e degli ischitani, mandati dai Borbone di Napoli a popolare l’isola di San Nicola.
Le isole Tremiti da poco dopo l’anno mille, fino sul finire del XVIII secolo, furono possedimento di potenti Ordini monastici. Prima i Benedettini che vi costruirono la Chiesa di Santa Maria a Mare e l’Abbazia fortificata, poi i Cistecensi che, tenendo fede alla loro fama di costruttori fortificarono ulteriormente la rocca, resero l’isola di San Nicola inespugnabile a qualunque assalto.
Nel 1334 tuttavia il pirata dalmata Almodovaro riuscì a penetrarvi con uno stratagemma, e fu strage. L’Abbazia fu messa a ferro e fuoco e depredata di tutte le sue ricchezze. I pochi cistercensi sopravvissuti abbandonarono l’isola e solo nel 1412 l’abbazia tornò a essere abitata, questa volta dagli agostiniani della Confraternita dei Canonici Lateranensi che continuarono il potenziamento delle fortificazioni, rendendole così come sono oggi visibili.
Sul finire del Settecento però i Borbone misero in discussione la proprietà dell’isola da parte dei monaci lateranensi e la incamerarono al demanio reale. I Lateranensi quindi lasciarono San Nicola ed al loro posto giunsero guappi e scapestrati esiliati da Ferdinando I. Erano delinquenti, ma si comportarono eroicamente nel 1809, durante l’effimero Regno di Gioacchino Murat, collaborando con i murattiani alla difesa dell’isola dall’assedio di inglesi e russi, tanto da ottenere la libertà da Murat.
La popolazione di quelli che ormai erano divenuti liberi coloni ed erano rimasti tali anche con il ritorno dei Borbone, era però quasi del tutto maschile e perciò cresceva poco. Perciò nel 1843 Ferdinando II di Borbone decise di inviare sull’isola un folto gruppo di donne destinate ad unirsi con i coloni. Si dice che la scelta cadde su un gruppo di fanciulle della Casa dell’Annunziata che a Napoli accoglieva orfani e bambini abbandonati e che la decisione di sacrificare le orfanelle non piacque troppo al popolo napoletano.
Le proteste, ed il fatto, ritenuto miracoloso che il veliero che avrebbe dovuto trasportarle a Tremiti, era stato respinto sulla costa napoletana da una tempesta, portarono il Re a modificare la sua decisione e sull’isola furono trasportate intere famiglie di pescatori di Ischia, attirati dalla straordinaria pescosità dell’Adriatico, e donne condannate per diversi reati o che comunque avevano liberamente accettato il trasferimento sull’isola per cambiare vita. Risale al loro arrivo l’inizio della diffusione della parlata napoletana nella che ancora oggi, curiosamente, costituisce il dialetto dell’isola.